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dai GIORNALI di OGGI

"Quella nave è una bomba tossica, il governo dorme"

di Giovanni Maria Bellututti gli articoli dell'autore

Quando divenne assessore all'Ambiente della Calabria, il biologo marino Silvio Greco non immaginava che le sue competenze tecniche gli sarebbe tornate tanto utili. Ora è come un cardiochirurgo che, diventato direttore diuna Asl, s’imbatte in uno scandalo connesso ai trapianti di cuore:

2009-09-24

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2009-09-24

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2009-09-24

 

 

 

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2009-10-03

Nave dei rifiuti, è allarme per i tumori in età giovane

di Marco Bucciantinitutti gli articoli dell'autore

Ci sono vite a perdere, e non solo navi. Chissà se sono occhi di marinai quelli che sembrano guardare spaventati dagli oblò del Cunsky. Per qualcuno quel relitto è un cimitero, per altri contiene solo bidoni pieni di scorie radioattive, ma nessun uomo è affondato fino a quattrocentonovanta metri del mare di Cetraro. Ci sono vittime però già sepolte in questa storia.

DESTINO CINICO E BARO

Nomi e cognomi, date di nascita, date di morte. Del capitano di vascello Natale De Grazia abbiamo parlato, e lo faremo ancora. E Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. E i passeggeri del Moby Prince, che un giudice volle morti "per il destino cinico e baro". Il destino che ruba i giorni e violenta le vite della popolazione intorno Paola, Cosenza, Calabria. Lì al centro geometrico di due vicende oscure, il Cunsky e prima il Jolly Rosso e dove ancora si discute se i rifiuti della nave apparsa sulla spiaggia come una stella cadente a ridosso del Natale di 19 anni fa siano o meno interrati, e abbiano o meno inquinato il torrente Oliva, le terre di Serra D'Aiello e di Aiello Calabro. Lì dove si sono seppelliti uomini e donne fra i 30 e i 60 anni, e queste sono classificazioni che fanno i dottori, quando devono cercare di mettere in numero una percezione di lavoro: "Muoiono in troppi".

DATI ALLARMANTI

Così otto medici di famiglia della cittadina di mare del cosentino hanno incrociato le cartelle cliniche dei loro pazienti. L'incidenza dei tumori nella popolazione "giovane" è maggiore che nel resto della regione e del Paese. Quasi doppia. Mentre in Italia la maggior parte dei malati di cancro muore fra i 65 e gli 80 anni, a Paola – per dirla come quel giudice – il destino cinico e baro si compie con una ventina di anni di anticipo. E la percentuale di decessi fra i trentenni è del 2,9%, quando in Italia sta decisamente sotto l'1. Altro picco anormale intorno ai quaranta anni (Paola 4,15%, Italia 2,8% circa). Quello che ha allarmato i dottori del Smi (sindacato medici italiani) è stata la comparsa di tumori "classici" (alla prostata per gli uomini e alla mammella per le donne) in età giovane. Questo screening, compiuto su tredicimila assistiti, verrà presentato oggi alla commissione sanità del consiglio comunale di Paola. La relazione preparata da Cosmo De Matteis, uno degli otto medici che ha deciso di vederci più chiaro, comincerà con un macabro aggiornamento: "Da quando abbiamo preparato questi documenti, appena un mese fa. sono deceduti altri quattro pazienti, fra i 50 e i 63 anni". Se c’è stato lassismo e pressappochismo nella ricerca delle navi a perdere escluso i martiri di questa storia la stessa superficialità sembra attanagliare la ricerca dell’eventuale inquinamento ambientale. L’iniziativa dei medici di famiglia prova a squarciare questo velo. Fino adesso si conosce solo un allarme del veterinario di Paola, che negli ultimi cinque anni ha più volte rilevato un tasso di metalli pesanti nel pescato del luogo. Pochi chilometri più a sud c’è la certezza della presenza di diossina e mercurio nel letto del fiume Oliva: lo certificò l’agenzia Arpacal per conto della Procura. Qualcosa di "ufficiale " arriverà a giorni insieme ai risultati delle analisi sul pescato compiute il giorno dopo le foto sul relitto in fondo al mare di Cetraro.

03 ottobre 2009

 

 

 

 

Calabria radioattiva. Il traffico di morte è vecchio di anni

di Enrico Deagliotutti gli articoli dell'autore

Il 17 giugno il settimanale "Cuore " pubblicò un articolo di Andrea Di Stefano che si apriva con una storia su Soverato, una storia che era stata spesso mormorata, ma mai scritta. Si trattava di questo:un cittadino di Soverato, Fausto Squillacioti, sentito informalmente dal procuratore Porcelli, gli aveva raccontato un episodio terribile: insieme a suo cugino Augusto, 5 anni prima, se n’era andato a pesca davanti a Calaluna di Montauro; avevano tirato le reti e si erano trovati davanti una palla di fango. L’avevano ributtata in mare, ma appena l’avevano toccata avevano sentito un forte bruciore alle mani, gli occhi avevano preso a lacrimare e avevano avvertito un forte prurito. Chissà che cos’era quella palla di fango... Poi era successo che Augusto si era ammalato di leucemia mieloide ed era morto. Anche Fausto contrasse la stessa malattia, curata con un trapianto di midollo. Il procuratore Porcelli raccolse poi un’altra testimonianza, quella dell’ingegnere Salvatore Colosimo. Questi, nel 1993, aveva visto sulla spiaggia di Copanello dei fusti gialli buttati a riva del mare. Poi erano arrivati due grandi battelli di cui l’ingegnere aveva visto i nomi - Isola Gialla e Corona - da cui erano scesi alcuni uomini che avevano portato via i fusti spiaggiati: fu un’operazione professionale, condotta da tecnici che indossavano tute bianche. I battelli appartenevano alla "Castalia", una ditta dell’Iri che si occupa dello smaltimento dei rifiuti nucleari.

I fatti - se fatti erano e non il frutto di esagerazione o malignità - portavano a questa conclusione: i fusti finiti sulla spiaggia e quella palla di fango che bruciava appartenevano a un’unica catena di eventi: una nave che li trasportava aveva fatto naufragio, unfusto almeno si era rotto liberando nel mare il suo contenuto, la palla di fango che dava bruciore e prurito; gli altri fusti erano arrivati a riva ed erano stati portati via da tecnici specializzati in rifiuti radioattivi. Einfine, ci doveva essere qualcosa di veramente grave se ben otto procuratori (quelli di Catanzaro, matera, Locri, Palmi, Reggio Calabria, Napoli, Crotone, Vibo Valentia) avevano deciso di coordinare il lavoro sul traffico illegale di rifiuti radioattivi nel Sud Italia e se indagavano sugli strani naufragi di ben ventitré navi nelle acque dello Ionio e del Basso Tirreno. La storia dei rifiuti, per quanto mi è stato possibile ricostruirla, in Calabria si svolge tra terra e mare. In terra la Calabria ospita, a pagamento, tonnellate di rifiuti tossici che il Nordopulento produce. In mare sono state fatte affondare navi che, forse, portavano plutonio e uranio. In terra, governano il trasporto delle schifezze mafiosi locali e affaristi di ogni genere. In mare, invece, è un affare di Stato. O meglio, di Stati. Tra terra e mare sonologge massoniche (deviate; naturalmente) a fare dacerniera ai traffici. Sia in terra che in mare i guadagni sono altissimi, tali da rendere il traffico di droga una quisquilia.

La situazione dei rifiuti in Calabria è abbastanza chiara, perlomeno di quelli che arrivano via terra. Qui si scaricano, quasi sempre al di fuori della legge, i rifiuti che il Nord Italia non sa più dove mettere o che trova imbarazzanti. Normalissimi Tir, scendono lungo l’Autostrada del Sole, versano e risalgono. Legambiente, l’organizzazione ecologista che più si è occupata del problema, ha censito 360 discariche abusive. C’è di tutto: cave di ghiaia riempite, grotte, anfratti nella montagna zeppi di pile, pezzi di eternit, solventi, vernici, medicinali scaduti, lastre radiologiche, scarti di sala operatoria, liquami di fabbrica. A SantaDomenica di Talao, in provincia di Cosenza, per esempio, si è scoperto in una fornace il deposito di tutti i rifiuti delle Usl delle Marche. Poi ci sono i rifiuti radioattivi, sempre trasportati da Tir, che salgono in colonna le strade per l’Aspromonte. Qui la provenienza è più vasta: Nord Europa. Fusti che contengono chissà cosa, abbandonati in montagna, malamente nascosti oppure anche depositati vicino a casolari, in mezzo alle pecore. E infine ci sono i centri gestiti dallo Stato, per esempio quello Enea di Rotondella, provincia di Matera, dove in una piscina all’aperto giacciono barre di plutonio inglesi e americane che fanno di questo luogo la nostra piccola Cernobyl.

03 ottobre 2009

 

 

 

 

2009-09-28

Le verità affondate da Sibari a Mogadiscio

di Marco Bucciantinitutti gli articoli dell'autore

Le storie andrebbero raccontante dall’inizio ma questa bisogna prenderla per la coda, e risalirla con tenacia e per amore del vero. Forse svelerà vent’anni di affari, di omicidi lontani e di stragi vicine, nel mare di casa. Nei bidoni del Cunsky può esserci il veleno e forse si nasconde anche un capitolo del libro di questo Paese. Ci sono vittime da onorare, debiti da saldare con i familiari di innocenti uccisi. Una stella, la più luminosa, in fondo allo Ionio: si può cominciare dal 21 settembre del 1987, quando la Rigel s’inabissò al largo del golfo di Sibari. Rigel è un nome da romantici: è la stella più nitida della costellazione di Orione. Affondò fino ai mille metri di quel tratto di mare, sprofondo perfetto per occultare qualunque cosa. Nessun Sos venne lanciato e non ve n’era bisogno: ad attendere l’equipaggio c’era una nave jugoslava diretta in Tunisia. Fu provato il naufragio doloso e l’armatore fu condannato per truffa all’assicurazione (i Lloyd’s di Londra).

A quella data dunque era già oliato il traffico di rifiuti tossici. Un esposto di Legambiente avviò l’inchiesta che il procuratore reggino Francesco Neri condusse insieme al capitano di vascello Natale De Grazia. L’inchiesta fu archiviata per l’impossibilità di proseguire le indagini in assenza del relitto.Ma i due batterono quella pista, trovando conferme - nel 1995 - in una nota appuntata sull’agenda di Giorgio Comerio, industriale lombardo che si era appropriato di un’idea dell’Ispra (istituto per la ricerca ambientale che lavora per Euratom): smaltire i rifiuti nocivi non più in cavità geologiche ma nel profondo del mare. Fu l’Onu a impedirlo, vietando con una convenzione lo sversamento di materiale pericoloso sui fondali marini. Comerio rivendette il progetto alla mala e agganciò i governi di mezzo mondo. Nell’appunto ritrovato nella sua villa a Garlasco c’era scritto che la Rigel trasportava rifiuti pericolosi e rientrava tra le 50 affondate. Gli spazzini erano le cosche dei luoghi, ricompensate a dovere. La scoperta dette un senso all’arenaggio della Jolly Rosso sulla spiaggia di Amantea (40 km a sud del Cunsky). La nave era partita dalla Spezia con diecimila fusti di sostanze tossiche recuperate in Libano. Barili che non furono rinvenuti e che si teme siano interrati in zona. A distanza di 19 anni parlano i morti: i casi di tumore nei comuni di Serra D’Aiello e Aiello Calabro sono sopra la media. Sulle acque del limitrofo torrente Olivo esistono analisi controverse, alcune proverebbero la presenza di scorie radioattive. I porti diprovenienza- lo sanno i servizi segreti e lo sa anche De Grazia e lo annota - sono quelli del Tirreno Tosco-Ligure. In uno di questi scali si consuma la più grande tragedia nella storia della marina mercantile. È il 10 aprile 1991, alle ore 22.26 il traghetto Moby Prince in servizio di linea tra Livorno e Olbia, lancia il may day. Si è scontrato con la petroliera Agip Abruzzo. Il Moby ha mollato gli ormeggi da poco. S’infiamma, è ancora vicina alla città, il rogo si vede dalla Terrazza Mascagni e nonostante questo i soccorritori la raggiungono alle 23.35, quindi 59 minuti dopo la richiesta d’aiuto. Il ritardo costò la vita ai 140 a bordo del Moby: si salvò solo il mozzo Alessio Berthrand. Cosa accadde non si è mai saputo.

I processi sono finiti additando "il destino cinico e baro", come disse un pm. Quella sera in porto c’era molto traffico: cinque navi affittate dai militari americani che rientravano con le armi inusate nella guerra del Golfo. Per riportarle a Camp Darby o per trasbordarle su altre imbarcazioni? I registri del porto piazzano tra le navi in movimento quella sera il 21 Octobar II, peschereccio che tre anni dopo comparirà in un’inchiesta sul traffico d’armi con la Somalia: lo scovò Ilaria Alpi, che indagava su queste compravendite. Forse Moby e Agip si scontrarono per evitare le navi che stavano mercanteggiando armi. Sicuramente il ritardo dei soccorsi consentì di ripulire la scena dalle presenze proibite. Le armi in Somalia servono sempre. La guerra è perenne. E anche nel Corno d’Africa si producono rifiuti. Lo sa bene Comerio, che si propone ai governanti africani: ai somali offre 5 milioni di dollari per inabissare le ingombranti scorie radioattive. Fax spediti dalla lombardia e destinati ai capi fazione dimostrano tangenti e commesse. Sono documenti acquisiti dalla commissione d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi. Ma prima di lei e dell’operatore Miran Hrovatin - trucidati a Mogadiscio il 20 marzo del 1994 - in Somalia (a Balad) era stato ucciso anche il maresciallo del Sismi Vincenzo Li Causi, già attivo nella struttura paramilitare Gladio. Per gli inquirenti italiani, Li Causi si sarebbe interessato all’operazione Urano (un progetto di smaltimento di rifiuti tossico- nocivi e di scorie nucleari, in Somalia e in altri Paesi africani) e avrebbe manifestato una crescente inquietudine. S’è confidato con Ilaria Alpi? Il maresciallo dei Carabinieri Francesco Aloi, che fu in servizio al comando della missione Ibis in Somalia, i due si conoscevano. Che Ilaria avesse contatti con un uomo del Sismi l’hanno affermato anche l’operatore della Rai Alberto Calvi e Giancarlo Marocchino, imprenditore italiano a lungo presente in Africa. La Alpi conosceva una parte di questa storia. Che nelle testa del capitano De Grazia si era ingigantita: il 12 dicembre del 1995 sta raggiungendo La Spezia per cercare nei registri navali i nomi di circa 180 imbarcazioni affondate intorno alle coste meridionali e partite da quell’area. Ci pensa su, mentre un misterioso malore lo stronca sul sedile posteriore dell’auto che lo porta verso la verità.

28 settembre 2009

 

 

 

 

 

 

 

"C’è un solo modo per sapere tutto: recuperare il relitto"

Lo smaltimento illegale dei rifiuti radiattivi è il "filo nero" che unisce inchieste giudiziarie e crimini diversi avvenuti negli ultimi vent’anni. Ma ci fu furono due indagini, condotte parallelamente a Matera e a Reggio Calabria, che arrivarono quasi al cuore del problema. A bloccarle fu una ragione tecnica all’epoca insormontabile: l’enorme costo del recupero del "corpo del reato". Cioè del relitto. Un problema che - come sostiene l’assessore regionale all’Ambiente Silvio Greco, che è anche un biologo marino di fama internazionale - non si pone per la nave di Cetraro. Oggi esistono le tecnologie per realizzare una completa bonifica e accertare qual era il carico. I costi sono alti, ma affrontabili per uno dei paesi più industrializzati del mondo. E non sono paragonabili al pericolo per l’ambiente e per la salute degli uomini. È per questo che sorprende il silenzio del governo. Chetratta il caso delle navi dei veleni come un problema locale.

Nicola Pace, oggi procuratore capo a Brescia, all’inizio degli anni Novanta guidava la procura di Matera e - con l’allora procuratore capo di Reggio Calabria Francesco Neri - accertò l’affondamento doloso di 42 navi cariche di rifiuti radiattivi. Una di esse, il cardo "Rigel ", fu individuato a 2000 metri di profondità al largo delle coste calabresi. Il costo dell’operazione, e il sostanziale disimpegno della politica, eliminarono rapidamente la speranza di poter realizzare l’indispensabile recupero. Le indagini, per quella ragione, si arenarono. "Da quanto leggo sul ritrovamento a Cetraro - dice Pace - ho l’impressione che siamo di fronte a una conferma dei risultati raggiunti negli anni Novanta. Credo che sarebbeunerrore perdere questa nuova opportunità. Il recupero del relitto è indispensabile".

28 settembre 2009

 

 

 

 

 

2009-09-24

"Quella nave è una bomba tossica, il governo dorme"

di Giovanni Maria Bellututti gli articoli dell'autore

Quando divenne assessore all'Ambiente della Calabria, il biologo marino Silvio Greco non immaginava che le sue competenze tecniche gli sarebbe tornate tanto utili. Ora è come un cardiochirurgo che, diventato direttore diuna Asl, s’imbatte in uno scandalo connesso ai trapianti di cuore: conosce la sofferenza del paziente e, nel contempo, individua le responsabilità dell' amministrazione. Il cuore sofferente che indigna Silvio Greco è il mare della sua terra. La malattia è una nave carica di fusti velenosi, una bomba di cui non si conosce la composizione, idonea a provocare una catastrofe ambientale di proporzioni spaventose e a colpire gravemente la salute dell'uomo. L’amministrazione sciatta è quella dello Stato: "Il governo ancora non ha fatto niente. Se una cosa del genere fosse stata scoperta a largo di Portofino o di Venezia non credo proprio che le cose sarebbe andate così. Evidentemente non si rendono conto che il mare non conosce i confini amministrativi. Il mare è di tutti. Questa è una catastrofe nazionale".

Cominciamo dall'inizio.

"Era lo scorso 13 maggio. Il procuratore della Repubblica di Paola, Giordano Bruno, mi presentò una relazione che riguardava un eccezionale aumento dei tumori nella zona di Serra D’Aiello e anche uno studio realizzato per verificare le dichiarazioni di unpentito che aveva parlato di navi cariche di veleni affondate davanti alle nostre coste. Dal tracciato di un sonar risultava che in un punto-mare corrispondente a quello indicato dal pentito erano giunti segnali compatibili con la presenza di un relitto. Si trattava di verificare e la procura non aveva i mezzi".

E voi cosa avete fatto?

"Ci siamo mossi istantaneamente. Il 14 maggio, il giorno successivo, ho informato il presidente Agazio Loiero che mi ha dato carta bianca. Il 15 ho scritto una lettera al ministro dell'Ambiente, al capo della Protezione civile e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Quasi un mese dopo, l’11 giugno, la risposta non era ancora arrivata. Ho scritto un’altra lettera. Finalmente il 15 Bertolaso mi ha risposto. Poche righe per dire che aveva rivolto al ministro dell’Ambiente la richiesta di esperire "ogni iniziativa utile per risanare il contesto"".

Ma in concreto?

"Assolutamente niente. E la procura continuava a chiederci aiuto. È stato così che ai primi di settembre ho chiesto all'Arpacal, la nostra agenzia regionale per la protezione ambientale, di mettersi a disposizione. Con i nostri fondi regionali ha noleggiato una nave e un Rov, un robot sottomarino. Le operazioni sono cominciate il 10 settembre. Il 12 il Rov ha filmato il relitto. Le sue caratteristiche fanno pensare, anzi direi che praticamente danno la certezza, che si tratta proprio della nave indicata dal pentito, la Cunsky".

Ma è intervenuto alla fine anche il ministero dell'Ambiente che ha inviato i tecnici dell'Ispra.

"Certo. E spero che ora il passaggio dell’inchiesta dalla procura di Paola alla Direzione distrettuale antimafia non determini una sospensione delle operazioni in attesa della conferma dell’incarico. Sarebbe davvero paradossale. Comunque il lavoro dell'Ispra, che è certamente importante, servirà ad accertare che non ci sia una contaminazione in atto. Ma ci vuole ben altro".

Cosa?

"Un impegno immediato e straordinario del governo. È mai possibile che la presidenza del Consiglio non intervenga in presenza di una nave dal contenuto radioattivo nelle nostre acque? Dico una nave perché è l'unica a essere stata individuata. Ma quel pentito ne ha indicate altre due e, secondo le ipotesi investigative, sarebbero in tutto almeno una trentina".

Cosa chiedete?

"Immediatamente l a "caratterizzazione", cioè che si accerti cosa c’è dentro quei fusti. Poi, individuata la natura del carico, la bonifica. Intendo dire che va rimosso tutto il carico e con esso il relitto. Questa, e il governo deve capirlo al più presto, è un’operazione di interesse nazionali. Non può essere lasciata alla magistratura, nè a una Regione. E bisogna agire subito.

Il relitto è la dal 1992, fino a ora ha retto. Ma cosa accadrebbe se il carico fuoriuscisse? Poi ci sono gli altri relitti.

"Si deve andare avanti nella ricerca. Daquesto punto di vista un grande aiuto può venire dai pescatori. Il filmato del Rov mostra sul relitto una serie di reti da pesca. Questo indica che i pescatori sapevano e, come sempre accade, passavano con lo strascico vicino a quel punto. Infatti dove c'è un relitto si forma un ambiente più pescoso. Ecco, credo che altre situazioni del genere, cioè di relitti "comparsi" tra gli anni Ottanta e Novanta siano note ai pescatori professionisti. Devono aiutarci ".

Cosa succede a chi mangia quel pesce?

"Se non sappiamo cosa c'è dentro i fusti è difficile fare ipotesi. Di certo si tratta di fonti di contaminazione persistenti e biodisponibili: entrano nei vari livelli della rete trofica fino ai predatori di vertice".

Cioè i pesci più grandi, quelli che mangiamo. E l’ambiente?

"La biodiversità è a rischio. Nei fondali si possono creare alterazioni nelle finestre riproduttive con la scomparsa di intere specie viventi".

24 settembre 2009

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